Il giornalista di The Guardian Tim Parks ha recentemente pubblicato un articolo – un reportage di viaggio in effetti – nel quale racconta la propria esperienza di scoperta della Calabria ionica, seguendo un tragitto che, partendo da Reggio Calabria, lo ha condotto fino a Taranto.
Quello descritto da Tim Parks è un viaggio lento (“slow”), umano, esperienziale, dai ritmi tranquilli e “mediterranei”. Un viaggio senza pretese e senza aspettative se non quella di potersi abbandonare al piacere dell’imprevisto e della scoperta di un luogo che, se non unico in Europa, è sicuramente uno dei pochi ad avere conservato pressoché intatta la propria autenticità, il proprio carattere, risultato unico di una storia millenaria di vicende incredibili, fondamentali e spesso drammatiche che hanno interessato nel corso dei secoli questo pezzetto di mondo. Per tutti gli spostamenti in loco, Tim Parks ha utilizzato esclusivamente due mezzi di trasporto: il treno regionale della linea ionica a binario unico ed i propri piedi, e il giornalista consiglia a tutti gli interessati, ai potenziali viaggiatori, di muoversi così.
Non mi stancherò mai di promuovere ed incoraggiare questo tipo di turismo, umano, sostenibile, rispettoso della gente e dei luoghi. Una vera e propria rivoluzione culturale rispetto al modello, ben più diffuso purtroppo, del turismo di massa, che tratta le località come beni di consumo e merci da utilizzare a proprio piacimento e, inseguendo lo stereotipo invece che la conoscenza, trasforma ogni sito in un non luogo uguale ad infiniti altri.
Ricordo ancora la tristezza che provai quando, qualche anno fa, visitai per la prima volta la città di Matera. Questo luogo incredibile, denso di storia e di cultura e in cui ogni singola pietra, se la si ascoltasse, avrebbe molto da raccontare, era ormai svalutato, involgarito e preso d’assalto da decine di agenzie e operatori pronti a venderti esperienze mordi e fuggi, tanto artificiali quanto vuote a dispetto dei nomi, che recitavano invece: “Visita la vera casa del contadino! Entra in una vera casa dei sassi! Osserva i veri attrezzi da lavoro degli abitanti di Matera! Scatta una foto con i veri costumi tradizionali!”. Operatori in pettorina gialla, promozioni urlate di continuo, insegne pubblicitarie e cartelli ad ogni angolo del centro storico: una Matera violentata e ridotta a merce è l’immagine che tristemente mi porto dentro a ricordo di quel viaggio.
L’esperienza raccontata e proposta da Tim Parks è, invece, radicalmente diversa e qui da noi – per fortuna – è ancora possibile viverla, perché il turismo di massa ha investito solo marginalmente la Calabria, limitandosi ad interessare poche località particolarmente rinomate. Normalmente e nella maggior parte dei casi, l’esperienza di chi decide di organizzare una vacanza in Calabria sarà quella della scoperta, dell’esplorazione, e non sarà molto dissimile dai famosi viaggi di conoscenza che, ormai quasi due secoli fa, portarono qui numerosi rampolli dell’alta borghesia europea, i quali, meravigliati dal carattere aspro ed insieme esotico delle nostre genti e dei nostri luoghi, ci descrissero, ci dipinsero, ci raccontarono in opere che hanno ancora oggi un inestimabile valore.
Eppure, pur con queste premesse, c’è qualcosa, nel discorso di Tim Parks, che non mi torna perfettamente, o meglio, che non mi soddisfa a pieno. In un passo del proprio reportage, a proposito degli spostamenti in treno, il giornalista così avverte il lettore: “Non preoccuparti troppo delle coincidenze o degli orari. Nessun altro, a parte te, lo farà”. Consiglia, poi, di non lamentarsi mai “di un treno in ritardo, o anche in partenza presto, o da una piattaforma inaspettata”. Prima o poi, quasi magicamente, si vedrà apparire, sulla linea dell’orizzonte assolato e torrido della nostra estate meridiana, “un’unica carrozza a motore diesel”, che “potrebbe essere in ritardo di soli dieci minuti, ma sembra che arrivi da un’altra epoca”.
Ecco, io devo dire, da antropologa ed operatrice del settore, oltre che da calabrese, che questo racconto non mi gratifica granché, né mi inorgoglisce. Piuttosto, queste ed altre affermazioni insinuano in me il dubbio, il sospetto, che Tim Parks sia giunto alle nostre latitudini spinto da un desiderio dell’esotico e del selvaggio che potremmo anche chiamare “estetica del sottosviluppo”, e che qui da noi abbia trovato esattamente quello che cercava.
Abbiamo dunque soddisfatto in pieno la sua voglia di esotismo; questo ci gratifica? Personalmente, credo di no, o almeno solo in parte. Ritengo, ad esempio, che il fatto che un treno possa partire in anticipo o in ritardo, o da una piattaforma inaspettata, beh, se soddisfa forse un viaggiatore, a molti altri sicuramente causerà disagi anche di una certa entità. E non sono affatto sicura che il turista non debba preoccuparsi degli orari perché tanto sarebbe l’unico a farlo. Immagino, invece, quanto sia palpabile la preoccupazione dei pendolari che quotidianamente si spostano per lavoro, dei professori, degli operai, dei ferrovieri che spesso accolgo nella mia struttura ricettiva trovandoli puntualmente stremati da un viaggio che richiede anche cinque o sei ore per spostarsi da una città all’altra all’interno della stessa regione – praticamente, un’odissea.
Un viaggiatore come Tim Parks coglierà certamente il lato pittoresco ed esotico di tutto questo, il fascino retrò e neorealista delle vicende di Calabria. Dopodiché, tornerà al lavoro nella sua organizzatissima metropoli, che gli garantirà servizi efficienti e spostamenti rapidissimi. E magari si lamenterà pure se un giorno la metro dovesse passare con trenta secondi di ritardo, come se certe cose fossero accettabili – perché ovvie e naturali – in Calabria ad esempio, ma altrove no. Ecco, è precisamente questo che mi dispiace, che non mi può star bene e su cui dovremmo, pertanto, intervenire.
Una precisazione è d’obbligo: le mie critiche non sono assolutamente rivolte al giornalista di The Guardian e al suo reportage. Ritengo anzi che il suo viaggio sia stato affascinante , intenso, bellissimo e che il suo lavoro sia stato scritto con passione ed onestà. È proprio per questo che dobbiamo, secondo me, prenderne spunto per rifletterci, parlarne, cercare una via possibile per il cambiamento, immaginare un futuro, per il turismo e non solo, in questa Calabria che è croce e delizia nostra. Trovare un modo per preservare quei luoghi che sono il nostro tesoro più prezioso perché sublimi ed evocativi a tal punto da suscitare emozioni intense e diventare, più che mero spazio fisico, dei “luoghi dell’anima” per chiunque li contempli. Ma, allo stesso modo, dotarli di infrastrutture che li rendano più facilmente raggiungibili. Non è pensabile, ad esempio, che al momento non sia possibile recarsi a Pentedattilo se non con mezzi propri.
Scrive Tim Parks che la persona che seguirà le sue orme dovrà “accettare lo strano mix di ospitalità e indifferenza che caratterizza la gente del posto” e “l’invito generale ad un caldo, alimentato, fatalismo”. Ecco un’altra immagine romantica, poetica, affascinante da morire.. che tuttavia non possiamo accettare, e che non rende onore a molti di noi. È vero, secoli di convivenza con una natura indomabile e sublime ci hanno reso aspri, callosi, resilienti, e questo è un dato. Tuttavia, io che non vado in cerca di avventure esotiche ma cerco di costruire, per me e non solo, un futuro in questa mia terra, se penso al fatalismo e all’indifferenza di molti miei concittadini immagino, piuttosto, le centinaia di costruzioni abusive e non finite che deturpano le nostre coste e le nostre città; le fiumare trasformate in discariche di elettrodomestici e materiale inerte di varia natura; i siti archeologici – visitabili sulla carta – perennemente chiusi, perché chi ha le chiavi non si sa bene chi sia né dove sia e a occuparsi di che cosa, e comunque, anche se si potesse entrare, mancherebbero le condizioni minime di decoro e sicurezza. Immagino le fogne a cielo aperto che intorbidiscono il blu del nostro splendido mare.
Indifferenza e fatalismo: “Lo Stato ci ha abbandonato” – quante volte abbiamo sentito questa espressione? – in Calabria non cambierà mai nulla, e quindi – sottinteso – la dimensione pubblica, di fatto, non esiste, e noi possiamo fare qualsiasi cosa. Ignorare la differenziata. Incendiare i boschi. Legittimare clientele e corruzione. Nascondere e negare la nostra parte di responsabilità.
Se lo Stato ha abbandonato qualcuno, questo abbandono è stato perpetrato, qui come altrove, nei confronti degli ultimi, e soprattutto delle ultime, della società. Nella grande maggioranza dei casi, se abbandono c’è stato, direi piuttosto che è stato reciproco, consensuale.
Da calabrese, conosco bene i pericoli del fatalismo e non intendo accettarli. Insieme a molte altre persone, con il mio lavoro provo quotidianamente a costruire una realtà diversa. Non si tratta di cambiare il carattere di un popolo, di modificare quei tratti del nostro essere che tanto hanno affascinato Tim Parks e molti altri viaggiatori prima e – si spera – dopo di lui. Semplicemente, penso che sia indispensabile una crescita culturale che ci consenta di valorizzare e preservare i nostri tesori, fisici ed immateriali, rendendoli al contempo maggiormente fruibili.
Possiamo ignorare che sotto casa nostra ci sia un importantissimo sito archeologico attualmente sconosciuto e nel quale pascolano le capre, oppure possiamo documentarci, impararne la storia ed imparare a raccontarla in tre o quattro lingue diverse. Lasciandole pure, le capre, se ciò non rovina e non deturpa. Ecco, se io fossi amministratrice, a qualsiasi livello, di questo territorio, mi sentirei toccata nel profondo dal reportage di cui sopra, ed in qualche modo coinvolta, responsabile. Sentirei, forte, l’obbligo di intervenire, affinché in questa terra di Calabria, che è croce e delizia nostra, chi volesse viaggiare come ha fatto Tim Parks possa continuare a farlo, e chi, invece, non ha questa possibilità, abbia l’opportunità di muoversi diversamente . E, cosa non meno importante, affinché i trasporti siano efficienti, affidabili e puntuali per chi in Calabria ci vive e ci lavora.
Perché chi intende viaggiare come Tim Parks deve poterlo fare; che sia, però, una libera scelta.