C’è un turismo che non è per tutti. C’è un turismo che esige rispetto, silenzio, ascolto dei luoghi. Se per te non è il momento, se non è quello che cerchi, se non ne avverti la necessità, quindi, meglio lasciar perdere, o rimandare questo viaggio ad un’altra stagione della tua vita.
La città di Roghudi vecchia è uno di quei luoghi capaci di trasmetterti un senso del tragico così potente da togliere il fiato. È un teatro di guerra, Roghudi vecchia, lo scenario di numerose battaglie che videro contrapporsi nei secoli gli abitanti, caparbi e duri, e le titaniche forze della natura. L’ultimo aspro scontro, avvenuto ormai sei decenni fa, sancì la definitiva vittoria delle seconde sui primi. Gli uomini e le donne, ormai impotenti ed atterriti dall’ultima, fatale, sconfitta, dovettero andar via. Lo fecero tristemente, con delle valigie logore e precarie, rimediate in fretta e furia per trasportare i loro pochi e miseri beni. La loro destinazione era uno di quei non luoghi tipici delle urbanizzazioni più recenti, uno di quei villaggi anonimi e senza identità che i nostri governanti amano costruire per sistemarvi i terremotati e gli sfollati. Tante casette tutte uguali, brutte e squadrate come container, sopra una colata di cemento grigio. Niente piazze, né parchi, né fontane. Niente panchine e niente alberi alla cui ombra poter sostare. Io non ci vivrei mai in un posto così. Di fatti, non ci vivono neanche loro.
La loro Roghudi, l’originale, quella vera, pulsa ancora nei ricordi di queste persone, alimentando una nostalgia profonda che si trasmette di generazione in generazione, come fosse parte del Dna. Gli abitanti di Roghudi, di fatto, continuano ad essere così legati al paese da farne oggetto continuo di pensieri, ricordi, memorie. E, così facendo, lo tengono in vita.
E continuano persino a frequentarlo, questo paese, recandovisi almeno una volta l’anno, nel giorno della festa. È lì che, tra vino, musica e cibi tradizionali, l’esilio termina, per un giorno, e si ricostruisce la comunità.
Ecco, se decidi di visitare Roghudi vecchia, non dimenticare quanto hai appena letto. Tienilo bene a mente quando percorrerai una delle due strade che portano lì, entrambe impervie, sconnesse, maledette. Tienilo a mente quando sbircerai dalle finestre delle case, per osservare gli interni che portano i segni inconfondibili di un abbandono fugace e quelli del tempo e della natura che si riprende, inesorabilmente, ogni cosa. Non dimenticarlo quando, dal punto più esposto della rupe, osserverai il paesaggio e ti smarrirai nell’estasi della contemplazione: non è comune, questa bellezza, non può esserlo. È la bellezza sublime di ciò che ti annulla e ti sovrasta, che stabilisce il tuo destino e dispone della tua esistenza. Bellezza inaccessibile, crudele, ingrata. Bellezza maledetta d’Aspromonte.